INTRODUZIONE
Sono trascorsi quasi tre anni e io aggiorno la mia agenda telefonica. Copio i recapiti delle amicizie create quest’anno e tralascio i legami allentati; aggiungo indirizzi virtuali che occupano righe intere.
Fino a tre anni fa era la ghimel ad abbondare nella mia rubrica, al punto che l’elenco straripava nella bet da un lato e nella dalet dall’altro. Gon Shoshanna – medico di base; Gon Shoshanna – pronto intervento, gruppo sanguigno, allergia all’aspirina; Gon Shoshanna – carta d’identità; Gon Shoshanna – Sig.ra Rosenberg, vicina del primo piano. Grafia ordinata, precisa, dati che si trasferiscono di anno in anno. Numeri d’emergenza, evidenziati in giallo per essere individuati rapidamente. Ora è piena la alef. Modifico la dicitura “mamma e papà”, mentre nuovi corrispondenti riempiono la colonna sottostante: settore, appezzamento, numero di tomba, giardiniere, cantore, giorno del decesso secondo il calendario ebraico e data per la spedizione dell’assegno annuale al “Fondo Memoria” dello shtetl.
Sono trascorsi tre anni e il lutto, fitto, si è fatto un po’ da parte; ha concesso spazio alla rassegnazione e ora permette di estrarre dalla cartella i miei quaderni grevi, scritti durante i giorni della malattia, del ricovero, della morte.
In un momento di grande emozione o pericolo sento la mia voce gridare “Mamma!”; non soffoco le parole, si insinuerebbe il dubbio. Per un attimo addirittura sorrido.
C’è un quaderno logoro che, tre anni dopo, apro e chiudo. Righe frettolose, lettere che la fioca luce della notte in ospedale non permette di distinguere.
Ho annotato le ultime frasi di mamma, come si fa con le arguzie dei bambini – “voglio due uovi mamma” o “dammi una uliva”… Frammenti di memoria, come il ricciolo che ho tagliato o la prima scarpina che ho appeso in macchina. Nelle prime settimane, tre o quattro volte al giorno, annotavo i suoi dolori. Poi le parole sono divenute un flusso: sette giorni di lutto, trigesimo, lapide, fiori, targa in legno e, visibili all’estremità della fila di defunti, lettere forgiate nel ferro. Solo dopo che queste sono state incise, ho potuto riprendere a scrivere il mio quaderno; lo apro tutti i giorni, impasto gli appunti e sorrido nel sentire la battuta che una volta mi portava a sbattere la porta o a bagnare di lacrime il cuscino.
“ Ai bambini, se si dà buon cibo, sì che mangiano!”
Apro il quaderno ogni settimana.
Apro il quaderno ogni mese.
Lo porto in borsa ma non lo apro. Lo adagio sullo scaffale.
Perché scrivo tutto ciò? A chi mai potrebbe interessare?
Non saprei.
Forse la verità è che non sono certa di averle mai saputo dire: “Mamma ti voglio bene!”